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Articolo pubblicato su Pressgiochi, settembre/ottobre 2024: "L’applicazione del principio dell’equilibrio nell’esecuzione del riordino per la tutela degli interessi costituzionali"

14 ottobre 2024

Un altro cortocircuito sulla questione territoriale questa volta di origine tecnica. Per i Giudici il percorso pedonale va calcolato seguendo il codice della strada riservato ai pedoni usando la prudenza del caso. Ma siamo sicuri che questi criteri assicurino in concreto la tutela della salute invocata? (Pressgiochi, settembre/ottobre 2024)


In questo articolo descriviamo un ulteriore tassello relativo all’applicazione tecnica dei distanziometri concepiti col sistema del percorso pedonale più breve. Quando ci si trovi ad effettuare il calcolo esatto dei metri di distanza occorre rispettare le regole del codice della strada riservate ai “pedoni” ed il principio della prudenza nella sua applicazione. Così dicono i Giudici del Consiglio di Stato. Nulla quaestio sull’indirizzo dato ma, più in generale, è chiaro che ci troviamo di fronte ad un’altra dimostrazione che si sta perdendo di vista l’obiettivo primario di verificare la tutela effettiva ed in concreto della salute degli utenti? 
Gli utenti, infatti, oltre a camminare ben possono essere dotati di mezzi di locomozione, dall’automobile alla bicicletta e perché no ai monopattini. Ciò mette in luce di fatto un cortocircuito nuovo della normativa che riguarda la questione territoriale, un altro tra i diversi che ho approfondito nel libro appena pubblicato “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali”.
 
Premessa
Il caso è quello di una sala che ha rappresentato di essere non troppo vicino ad un luogo sensibile applicando il criterio di calcolo dei metri di interdizione del distanziometro pedonale della Regione Emilia Romagna, laddove nella ricerca del percorso pedonale più breve da seguire si tenga effettivamente conto di alcuni specifici approfondimenti del codice della strasa (cfr., in particolare, sentenza del Consiglio di Stato Sezione Quarta n. 5163/2024 del 10/6/2024, relativa al contenzioso n. 9925/2023).
 
Il principio evidenziato dai Giudici.   
La norma regionale di riferimento  prevede che “Sono vietati l'esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse di cui agli articoli 1, comma 2, e 6, comma 3-ter, della presente legge, i punti di raccolta delle scommesse (c.d. corner) di cui all'articolo 38, commi 2 e 4, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.), nonché la nuova installazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'articolo 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, in locali che si trovino a una distanza inferiore a cinquecento metri, calcolati secondo il percorso pedonale più breve, dai seguenti luoghi sensibili: gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori” (articolo 6, comma 2 – bis L.R. n. 5 del 2013).
Dunque il criterio di calcolo indicato è quello del “percorso pedonale più breve” che tuttavia ha posto degli interrogativi nella sua fase di applicazione concreta, al punto che nel giudizio di primo grado i Giudici hanno dovuto specificare che “per il calcolo della distanza delle sale giochi e/o scommesse dai luoghi sensibili indicati dalla disciplina regionale occorre tener conto delle norme di tutela della sicurezza dei pedoni evincibili dal Codice della strada oltre che dalle comuni regole di prudenza, “non potendosi effettuare la misurazione basandosi sulla trasgressione, seppure non necessariamente pericolosa, da parte del pedone delle norme del codice della strada per addivenire ad una abbreviazione del percorso”.
E nel caso concreto, il problema era rappresentato da un incrocio teoricamente attraversabile ma ampio (quattro corsie), trafficato senza mezzi dissuasivi della velocità, con un semaforo dedicato solo al traffico veicolare, privo di strisce pedonali.
La posizione dell’amministrazione comunale nel giudizio è stata quella di richiamare l’articolo 190, comma 2, del D.Lgs. 285/1992 secondo cui “sebbene i pedoni per attraversare la strada debbano ordinariamente “servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi”, tuttavia “Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri".
Sul punto i Giudici del Consiglio di Stato hanno richiamato il fatto che la norma in questione consente solo di qualificare la legittimità di comportamenti dei pedoni, senza dare un indirizzo univoco di comportamento essendo importante il riferimento al principio della prudenza.
E da tale ragionamento viene fatta discendere la scelta che “In sostanza, tra plurimi percorsi alternativi, ai fini dell’elaborazione di una regola tecnica, va preferito quello che consente il pieno rispetto degli obblighi previsti dal Codice della strada, ed in particolare della disposizione secondo cui i pedoni, di regola, debbono servirsi degli attraversamenti pedonali. In tal senso - come osservato efficacemente dal primo giudice - nel quadro di una normativa il cui fine è quello di tutelare la salute collettiva, il calcolo delle distanze va effettuato in funzione di un tragitto che preservi, del pari, la sicurezza di pedoni e automobilisti, e quindi senza metterne in pericolo, almeno potenzialmente, l’incolumità”.
 
La correttezza e coerenza del principio, ma allo stesso tempo l’evidenza del cortocircuito nella logica dei distanziometri che non assicurano una tutela effettiva della salute degli utenti rispetto al DGA.
Va condiviso appieno il ragionamento posto dai Giudici laddove in presenza di una disposizione regionale che in virtù del Titolo V della Costituzione per la tutela degli utenti preveda un distanziometro pedonale, non possa non utilizzarsi che un criterio di calcolo netto ed orientato alla prudenza e tutela della salute anche nell’applicazione del codice della strada.
Ma quel che conta è poi anche evidenziare la contraddizione del distanziometro in sé che scaturisce anche dall’odierno approfondimento. 
A prescindere dalle note considerazioni sull’inidoneità di siffatti distanziometri a realizzare gli obiettivi di tutela posti dallo steso legislatore, va comunque precisato che nel concepire un distanziometro da luoghi sensibili con l’obiettivo di dissuadere un utente dalla scelta di accedere ad un punto di gioco non si possa prescindere, sin dalla fase di misurazione concreta, né dal fatto concreto che gli utenti non volano (circostanza che come dimostrato più volte  esclude un’efficacia per il criterio del raggio), né dal fatto che gli utenti si muovano ancor prima che a piedi con mezzi di locomozione.
Quest’ultima circostanza, quella dei mezzi di locomozione, è di tutta evidenza che dimostra quanto in realtà ed in concreto sia inefficace un distanziometro anche a percorso pedonale. E la motivazione è tanto semplice quanto macroscopica: i tempi di percorrenza di 500 metri con i mezzi di locomozione sono così minimi da far considerare ictu oculi il sistema distanziale concepito non idoneo allo scopo materiale di dissuadere l’accesso. E l’inidoneità allo scopo rende lo strumento in sé in contrasto con la tutela – effettiva – della salute ai sensi dell’art. 32 della Costituzione.
 
Conclusioni
Se dunque l’obiettivo è quello della tutela in concreto del bene della vita, in questo caso non dei ricorrenti ma degli utenti, è di tutta evidenza che un distanziometro di 500 metri calcolato col raggio o col percorso pedonale di fatto non determina alcun effetto concreto né in termini di “dissuasione al gioco”, né quindi in termini di contrasto al DGA. Per un autentico contrasto al DGA le misure sono altre, come ad esempio quelle concepite dal legislatore della Regine Campania ed il registro di autoesclusione previso dalla Legge Delega. Di qui l’esigenza di monitorare che si completi la sua attuazione, nella consapevolezza della sua sin ora solo parziale definizione.  


Geronimo Cardia

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